OBIETTIVI DI QUESTA LEZIONE
Riflettere sulle modalità e le problematiche dell'acquacoltura e della matricoltura
Riflettere sulle modalità e sulle problematiche della pesca
Riflettere sugli impatti ambientali dell'allevamento intensivo
Valutare le scelte e decisioni relative a problematiche (ambientali, sociali, economiche...) legate alla pesca e all'allevamento dei prodotti ittici
Riflettere sulle modalità e sulle problematiche della pesca
Riflettere sugli impatti ambientali dell'allevamento intensivo
Valutare le scelte e decisioni relative a problematiche (ambientali, sociali, economiche...) legate alla pesca e all'allevamento dei prodotti ittici
COSA TI SERVE PER COMINCIARE?
Riuscire a ipotizzare le conseguenze di scelte di tipo tecnologico riconoscendo in ogni innovazione opportunità e rischi
Riuscire a ipotizzare le conseguenze di scelte di tipo tecnologico riconoscendo in ogni innovazione opportunità e rischi
1.LA DOMANDA DI PRODOTTI
La domanda di prodotti ittici (dal greco ichthys= pesce) è molto cresciuta negli ultimi dieci anni, ma nello stesso tempo l'attività della pesca ha avuto un grande impatto ambientale: i consumi di pesce sempre maggiori hanno ridotto la popolazione le popolazioni di pesci in tutti i mari e gli oceani del pianeta e, di conseguenza, la pesca oceanica non è più disponibile come un tempo. In Italia consumiamo 30 Kg di pesce a persona all’anno (mentre erano solo 3 Kg negli anni ‘60) e, per soddisfare le richieste dei consumatori, si stanno sempre più diffondendo le tecniche di allevamento dei pesci tramite l’acquacoltura e la maricoltura.Negli anni ’90 il pesce di allevamento era stimato, a livello mondiale, sui 13 milioni di tonnellate, mentre oggi si calcolano circa 50 milioni di tonnellate. La produzione dei vivai ittici è, quindi, destinata a superare l'allevamento di bestiame come risorsa alimentare entro pochi anni.
il consumo e l'allevamento ittico nei paesi del mediterraneo |
2.LE TIPOLOGIE DI ALLEVAMENTO
L’acquacoltura e la maricoltura, così come nel caso dell’allevamento di bestiame possono essere estensive, semintensive ed intensive.
Nell’allevamento estensivo non si somministrano alimenti dall'esterno; il ciclo produttivo inizia con la semina degli esemplari giovani provenienti da centri di riproduzione o raccolti in natura e prosegue con il controllo del flusso delle acque, attraverso griglie installate su porzioni do laghi o presso le foci a delta di grandi fiumi.
Nell'allevamento intensivo, invece, è di fondamentale importanza l'intervento dell'uomo per la somministrazione di alimentazione di tipo artificiale, con formule adatte alle specie allevate. Si attua per lo più sulla terra ferma in vasche di cemento o in terra. Negli ultimi anni sta sempre più diffondendo quello praticato in mare utilizzando gabbie e recinti.
Nell’allevamento di tipo semi-intensivo è prevista l'integrazione del cibo disponibile in natura con alimenti generalmente di origine organica e ridotto contenuto proteico.
modalità di acquacoltura |
Sia la pesca che l’allevamento dei pesci devono comunque il loro sostentamento alla qualità delle acque, per cui l’interesse ecologico deve essere una prerogativa per entrambe le attività. Oltre ai molluschi ed ai crostacei, i pesci maggiormente allevati sono l’orata, il branzino, il salmone, la trota. Se l’alimentazione della trota viene arricchita di particolari pigmenti la colorazione della carne dell’animale assume la colorazione rosata, molto simile a quella del salmone, per cui si ottiene la trota salmonata. Essa quindi non è una sottospecie ma una realizzazione tipica dell’acquicoltura.
3.LA PESCA
La pesca
è una attività antichissima, praticata e diffusa in Occidente dai Fenici e in
Oriente dai Cinesi i quali perfezionarono la conservazione del pesce tramite la
salagione. Le risorse ittiche del mare sono state la principale fonte di nutrimento
di molte popolazioni costiere e la pesca in mare aperto rappresenta ancora oggi
l'elemento essenziale per l'economia di diversi Paesi anche industrializzati.
A seconda della zona e del tipo di pescato possiamo distinguere due tecniche di pesca:
piccola pesca e pesca d'altura.
A seconda della zona e del tipo di pescato possiamo distinguere due tecniche di pesca:
piccola pesca e pesca d'altura.
PICCOLA
PESCA
I
piccoli pescherecci che solcano il Mediterraneo operano la cosiddetta pesca
costiera o sotto-costa. Solitamente si limitano a tenere il pesce al fresco e
rimandare le operazioni di pulitura e conservazione a terra. Gli strumenti
usati a sono le reti a posta fissa, i
palàmiti e le nasse.
Reti a
posta fissa o di deriva: ancorate sul fondo marino e sospese con i
galleggianti, queste trappole mortali per i mammiferi marini (balene e delfini)
sono collocate lungo ler presumibili rotte dei banchi e rimangono in attesa che il pesce
(triglie, naselli, gallinelle, scorfani, saraghi e molluschi) vi si impigli.
le reti a posta fissa |
I
palàmiti sono cavi lunghi anche diverse centinaia di metri su cui sono disposti
in modo equidistante dei cavi più piccoli che portano centinaia di ami per la
cattura di naselli, cernie, palombi, saraghi e tutti quei pesci che abboccano
all’amo.
schema id funzionamento dei palamiti |
Le nasse
sono delle gabbie che hanno una bocca d’ingresso a forma di imbuto, per cui il
pesce può entrare facilmente ma non riesce ad uscire. Utilizzate per la cattura di crostacei
(aragoste, granchi, gamberi) e molluschi vengono depositate sui fondali e
attirano gli animali marini per provviste di esche.
la pesca con le nasse |
PESCA
D’ALTURA
Oggi la
pesca in mare aperto si avvale di pescherecci che hanno una lunghezza media di
100 metri ed una capacità di carico maggiore di 100 tonnellate. Queste
imbarcazioni sono dotate di scandaglio acustico (sonar) che localizza con
precisione i grandi banchi di pesce come sardine, acciughe, tonni, sgombri e
merluzzi che vivono stabilmente in colonie. Per la cattura di seppie e calamari
ci si avvale di grandi fonti di luce bianca: i molluschi, attirati dalla luce, vengono risucchiati con potenti pompe aspiranti.
Oltre ai tradizionali sistemi di conservazione del pescato, a bordo dei
pescherecci si trovano impianti frigoriferi che permettono alle barche una lunga autonomia, un vasto
raggio di azione e campagne di pesca prolungate. Appena pescato, il pesce viene
privato delle viscere ed immediatamente conservato nei surgelatori.
Gli strumenti principalmente utilizzati sono:
Reti da
traino: trascinate sui fondali a profondità superiori ai 50 metri, sono
paragonabili a grandi sacchi con una bocca d’ apertura di circa 50 metri di
larghezza. Le reti da traino (dette anche reti a strascico), arando il fondale hanno un notevole impatto sull'ambiente marino: asportano e distruggono qualunque cosa incontrino sul fondale, pesci, invertebrati, coralli, alghe, posidonie, eccetera e lasciano un ambiente devastato che richiederà molto tempo per riprodursi. Peraltro, circa l’80% del pescato mondiale è ottenuto con questo tipo di pesca.
funzionamento delle reti da traino |
Proprio per limitare i danni in alcuni paesi, ad esempio in Italia, è vietata la pesca a strascico sottocosta (entro le 3 miglia marine o al di sopra della dei 50 metri di profondità), dove si sviluppano gli ambienti più complessi, ma ciò nonostante è frequente leggere sui quotidiani di pescherecci che strascicano impunemente nelle zone vietate facendo danni irreparabili e minando le loro stesse possibilità di pesca future.
Reti di
circuizione: sono gigantesche reti rettangolari di dimensioni variabili, ma
mediamente raggiungono gli 800 metri di lunghezza e 120 metri in profondità.
Spesso sono fornite di punti luce (lampare) per attirare i banchi di pesce
azzurro ma anche i grossi pesci come il tonno e il pesce spada. Una volta
aggirato il banco si tirano le cime in modo che il pesce rimanga intrappolato.
funzionamento delle reti di circuzione |
Tutte le
reti devono comunque rispettare misure minime, in modo da permettere la
crescita dei piccoli pesci.
4.PESCA E IMPATTO SULL'AMBIENTE
acquacoltura e rischi ambientali |
Ad oggi circa il 30% dei prodotti ittici
italiani, e il 46% a livello mondiale, proviene da acquacoltura ma, sebbene
alcune tipologie di allevamento riescano effettivamente a costituire una fonte
significativa di cibo e a non impattare negativamente sull’ambiente, gli
allevamenti di tipo intensivo, soprattutto per le specie ad alto valore
commerciale come il salmone ed i gamberetti, stanno avendo preoccupanti
ricadute sull’ambiente e hanno già provocato forme di degrado ambientale, oltre
che importanti ricadute sociali: molti piccoli pescatori locali, schiacciati
dalla concorrenza dei grandi pescherecci d’altura, sono costretti ad
abbandonare la propria attività e la propria terra.
Ma vediamo più nel dettaglio.
IMPATTO SULL’ECOSISTEMA
Molto spesso gli ecosistemi costieri
vengono fortemente compromessi dagli allevamenti intensivi. Uno dei principali
problemi legati all’allevamento dei gamberetti, lungo le coste tropicali, è la
distruzione delle foreste di mangrovie per fare spazio agli impianti di
acquacoltura. Oltre a costituire la culla naturale di una ricchissima
biodiversità animale e vegetale, le mangrovie sono un importante ostacolo
all’erosione del suolo e rappresentano una barriera naturale contro uragani e maremoti.
Senza contare che la scomparsa delle
mangrovie ha conseguenze disastrose sulla pesca tradizionale che è la fonte di
cibo e reddito per numerose comunità locali.
INQUINAMENTO
Gli allevamenti intensivi rilasciano
nell’ambiente naturale che li circonda, enormi quantità di rifiuti: cibo non
consumato, escrementi, plancton, batteri, antibiotici ed altri composti chimici
come i disinfettanti, senza contare i numerosi parassiti dei pesci che affollano
gli allevamenti. Gli antibiotici ed i
prodotti chimici, in particolar modo, intossicano anche la fauna selvatica e la
flora che circonda l’impianto, con gravi ripercussioni sulla salute degli
uomini che pescano e si nutrono di questa flora e di questa fauna. Succede poi
che quando un ecosistema viene considerato troppo compromesso per poter
continuare ad ospitare un allevamento, questo venga semplicemente spostato
altrove.
IMPATTO SULLE SPECIE LIBERE
In particolare negli allevamenti
intensivi di specie carnivore, come salmone e tonno, si utilizzano enormi
quantità di “pesce foraggio” (cioè piccoli pesci selvatici destinati a a
nutrire quelli allevati) e di farina e olio di pesce per l’alimentazione degli
animali. Per avere un’idea per produrre 1 tonnellata di salmone o di trota di
allevamento occorrono tra le 3 e le 5 tonnellate di piccoli pesci selvatici.
Ad oggi circa 1/5 del pesce selvatico di
tutto il mondo è utilizzato per produrre farina ed olio di pesce, che vengono utilizzati
negli allevamenti intensivi di pesce. La maggior parte di questi pesci,
acciughe, aringhe e sgombri, è costituita da esemplari dagli elevati contenuti
nutritivi per l’uomo e che attualmente sono considerate specie a rischio. Alla
fin fine in quest’operazione si utilizza molta più carne di pesce di quanta non
se ne produca; vista in questa prospettiva, l’acquacoltura non può essere
l’alternativa alla pesca, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove
pochissime persone possono permettersi prodotti come il salmone affumicato.
MINACCIA ALLA BIODIVERSITÀ
La selezione operata sui pesci di
allevamento rende gli animali non adatti alla sopravvivenza negli ambienti
naturali. Alcuni allevamenti praticano tecniche di ingegneria genetica sui
pesci al fine di aumentarne i ritmi di crescita e la resistenza al freddo e
alle malattie. Se ad oggi non esistono ancora informazioni sulle conseguenze di
queste pratiche sulla salute umana, diversi studi sono stati fatti sui suoi effetti
sull’ambiente acquatico a seguito della fuga di pesci dai bacini di
allevamento, fenomeno abbastanza diffuso. Tale eventualità , rappresenta un
potenziale disastro per l’ecosistema marino, per due motivi in particolare:
1) molto spesso nelle vasche d’allevamento
sono presenti specie non locali: la loro fuga diventa una potenziale minaccia
per le specie locali (autoctone), perché, spesso gli esemplari allevati sono più
grandi, più forti e più prolifici (hanno cioè maggiore capacità di riprodursi) e
propagano malattie e parassiti;
2) la contaminazione tra pesce selvatico
e pesce allevato determina un pericoloso impoverimento del patrimonio genetico
della fauna marina. I pesci di allevamento, infatti, non sono adatti
geneticamente a sopravvivere in un ambiente libero.
CONCLUSIONI
L’acquacoltura potrebbe essere una
risposta plausibile allo sviluppo sostenibile del settore ittico?
La risposta a questo interrogativo
possiamo trovarla nella seguente dichiarazione rilasciata dalla FAO Fisheries
Department, nel 1997.
Lo sviluppo sostenibile consiste nella
gestione e nella conservazione delle risorse naturali e nell’orientamento di
innovazioni tecnologiche e di cambiamenti istituzionali in modo da assicurare
la soddisfazione delle necessità dell’uomo, per le presenti generazioni e per
le future. Tale sviluppo sostenibile (in agricoltura come nel settore della
pesca) deve conservare la terra, l’acqua, le risorse genetiche di flora e
fauna, non deve degradare l’ambiente, deve essere tecnologicamente appropriato,
economicamente perseguibile e socialmente accettabile.