INDICE
LE STRATEGIE DI INTERVENTOCOME CAMBIA IL CLIMA
Con il
termine clima (o più correttamente sistema climatico) si definisce il tempo
meteorologico medio su determinate aree territoriali e scale temporali lunghe,
almeno 30 anni. Su scale di spazio e tempo più brevi si parla di tempo
meteorologico (quello che ci viene giornalmente presentato dalle previsioni del
tempo).
Molti
sono i fattori che contribuiscono a determinare il clima della Terra: in primo
luogo sono fattori naturali, quindi indipendenti dall’azione dell’uomo, quali l’attività
vulcanica, la quantità di energia proveniente dal sole, l’inclinazione
dell’asse terrestre, ma anche fattori stagionali come le correnti oceaniche; in
secondo luogo ci sono i fattori antropici, connessi cioè alle attività umane,
come l’uso di combustibili fossili (carbone, petrolio e metano), l’emissione in
atmosfera di gas serra e la trasformazione e l'impermeabilizzazione del suolo.
Queste variazioni, seppur con dinamiche diverse, hanno tutte l’effetto di
produrre una modifica nella composizione chimica dell’atmosfera perché
rimettono in circolazione tonnellate di gas serra (in particolar modo metano,
ossido di azoto e anidride carbonica o CO2, il gas serra che produciamo in
maggiore quantità) che la natura ha assorbito e immagazzinato per secoli nei
grandi serbatoi naturali (foreste, suoli, mari e oceani).
i cambiamenti climatici in sintesi |
La
scoperta del fenomeno del riscaldamento globale risale alla fine del
Diciannovesimo secolo quando Svante Arrhenius, chimico e fisico svedese che ha
ricevuto il premio Nobel per la chimica nel 1903, illustrò per la prima volta
la teoria secondo la quale l’anidride carbonica avrebbe un’incidenza sul clima,
causando cioè i cambiamenti climatici.
Da quel
momento in avanti, la consapevolezza che l’umanità ha un’influenza sul clima è andata
notevolmente crescendo. Nella prima metà del Ventesimo secolo, molti scienziati
credevano, o sarebbe meglio dire speravano, che gli oceani sarebbero riusciti
nell’impresa di mantenere costante il livello di CO2 in atmosfera, assorbendo
gran parte delle emissioni di natura antropogenica. Nel 1957, però, nuovi studi
hanno dimostrato che gli oceani, pur assorbendo la CO2 in eccesso, lo fanno a
un ritmo molto più lento di quanto ipotizzato e che negli anni si sarebbe
potuto verificare un aumento della temperatura media globale.
Nel
periodo 2000-2007 gli oceani e la geosfera (gli ecosistemi terrestri e i suoli)
hanno assorbito il 54% delle emissioni totali di CO2, mentre la restante parte,
il 46% circa, si è accumulata in atmosfera. Inoltre assistiamo ad una
progressiva perdita di efficienza dei serbatoi naturali (nel rimuovere l’anidride
carbonica di circa il 5% nell’arco degli ultimi 50 anni, fenomeno che dovrebbe
proseguire nel futuro. In pratica per ogni 1.000 kg di CO2 immessa in atmosfera
i serbatoi naturali riescono a rimuoverne solo 550 kg; cinquant’anni fa erano
600 kg.
L'EFFETTO SERRA: LA FEBBRE DEL PIANETA
La
variabile principale sulla quale si pone attenzione quando si parla di cambiamenti
climatici è la temperatura del pianeta.
Il
riscaldamento della Terra si deve ai raggi solari che giungono sulla superficie
terrestre senza rimbalzare nuovamente nello spazio. La nostra Terra si riscalda
fino alla temperatura alla quale non riesce più ad assorbire calore e, a sua
volta, inizia a irradiare nello spazio raggi infrarossi (cioè calore). Alcuni
gas presenti in atmosfera, come l’anidride carbonica (CO2), intrappolano una
parte delle radiazioni infrarosse dirette verso lo spazio, impendendo al calore
di disperdersi nello spazio e mantenendo più alta la temperatura media della
Terra.
Rilasciando
in atmosfera gas serra (come la CO2) attraverso la respirazione delle piante,
la decomposizione organica e l’attività vulcanica il nostro pianeta, oltre a
filtrare le radiazioni solari nocive, regola naturalmente la sua temperatura e
rende possibile la vita; queste quantità di CO2 vengono poi riassorbite dall’ambiente
attraverso la fotosintesi clorofilliana e il sistema, a meno di shock estremi
dovuti all’attività vulcanica, resta in equilibrio. Senza questo effetto serra
naturale la temperatura media sulla superficie del nostro pianeta sarebbe di
circa 14°C sottozero, molto oltre il punto di congelamento dell’acqua. Grazie
ad esso la temperatura media è invece intorno ai 18°C sopra
lo zero.
A
partire dalla rivoluzione industriale (a partire dalla seconda metà del XVIII
secolo) e in particolar modo negli ultimi 60 anni, la concentrazione di anidride
carbonica nella composizione chimica dell’atmosfera è aumentata del 30% a causa
dell’uso di combustibili fossili, mentre quella di metano, un altro gas serra,
è aumentata del 200% per la diffusione degli allevamenti intensivi. Questo comporta
che in atmosfera entra sempre più anidride carbonica di quella che riesce ad
essere assorbita naturalmente provocando un innalzamento anomalo della
temperatura con il rischio di rendere inospitale il pianeta sul quale viviamo.
l'immissione di gas serra in atmosfera e le previsioni di riduzione dopo la Conferenza di Parigi del 2015 |
COME REAGISCE LA NATURA: GLI EFFETTI DEL RISCALDAMENTO GLOBALE
Il
fenomeno dell’effetto serra porta a delle conseguenze tangibili sull’ecosistema
terrestre e sulle popolazioni. Ecco un elenco di quelli che già stiamo vivendo
sulla nostra pelle.
LO SCIOGLIMENTO DEI GHIACCI
Le conseguenze più evidenti sono lo scioglimento della criosfera, cioè di quella parte della superficie terrestre coperta da acqua allo stato solido come le calotte polari, i ghiacciai presenti sulle montagne e il permafrost (cioè quelle zone del pianeta ove il terreno è perennemente ghiacciato). Secondo alcune previsioni, i ghiacci artici potrebbero addirittura essere soggetti a scioglimento completo nei periodi più caldi dell’anno (come in tarda estate) già verso la fine del secolo. La criosfera, ovviamente, ha un ruolo fondamentale nel sistema climatico globale e una variazione della sua estensione può portare a cambiamenti drastici sul sistema stesso. Ecosistemi fragili come quelli di mari, montagne e paludi rischieranno di essere definitivamente compromessi.
L’INNALZAMENTO DEL LIVELLO DEI MARI
Secondo
studi dell’IPCC (il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico, formato
da diverse agenzie delle Nazioni Unite) la riduzione della calotta glaciale
antartica e di quella della Groenlandia ha quasi certamente contribuito a un
innalzamento del livello dei mari tra il 1993 e il 2003 di circa 3,1 millimetri
all’anno. Ci si aspetta che entro il 2100 l’innalzamento sarà compreso tra i 15
e i 95 centimetri con drammatiche conseguenze per tutti i sistemi urbani
costieri.
L’ACIDIFICAZIONE DEGLI OCEANI
L’aumento
di CO2 nell’atmosfera porta anche ad una acididficazione degli oceani con danni
irreparabili all’ecosistema marino, ad esempio, la scomparsa della Grande
barriera corallina, inclusa tra i beni protetti dall’Unesco nel 1981 perché
ospita più di 400 tipi di coralli, 1.500 specie di pesci, 4.000 tipi di
molluschi, nonché specie a rischio di estinzione come il dugongo e la tartaruga
verde. Una ricchezza naturale che è stata stimata in 37,8 miliardi di euro e dà
lavoro a 64mila persone.
LA DESERTIFICAZIONE
La
desertificazione e con essa le ondate di calore si espanderanno verso quelle
regioni che attualmente godono di un clima temperato come, ad esempio, l’area
del mar Mediterraneo (Italia inclusa) provocando gravi danni per l’agricoltura;
in particolare, nei prossimi 35 anni, i rendimenti dei campi di mais e di grano
potrebbero calare anche del 50 per cento per colpa del riscaldamento globale.
Un rischio da evitare e prevenire soprattutto ora che le persone che soffrono
la fame nel mondo sono in lieve calo. (795 milioni le persone che non
mangiavano a sufficienza nel 2015 contro il miliardo del biennio 1990-1992).
LA PERDITA DI BIODIVERSITÀ
Non solo
per colpa dei cambiamenti climatici, ma sicuramente per colpa degli esseri
umani, sulla Terra è in corso un’inarrestabile estinzione di massa che potrebbe
portare alla scomparsa, entro la fine del scolo, di metà delle specie viventi. Come
per la desertificazione, la perdita di biodiversità, in particolare la
scomparsa delle piante, potrebbe rallentare la lotta alla fame e aumentare la
diffusione di patologie infettive e autoimmuni.
FLUSSI MIGRATORI
Sono
così stati identificati almeno cinque processi prodotti dal cambiamento
climatico che possono avere effetti sulla mobilità delle persone: l’aumento
delle temperature dell’aria e della superficie dei mari, il cambiamento delle
precipitazioni in termini di frequenza e di intensità (legate a periodi di
siccità e ondate di calore spesso prolungate nel tempo o, all’opposto, a forti
inondazioni che possono causare gravi danni e perdite umane), la desertificazione,
l’innalzamento del livello dei mari, l’aumento dei fenomeni metereologici
estremi (tropicalizzazione del clima con precipitazioni concentrate nel tempo,
ma di eccezionale intensità) anche al di fuori delle aree geografiche tradizionalmente
interessate. Tutti questi fenomeni hanno forti ricadute sull’agricoltura, sull’allevamento
e sulla pesca, quindi sulla disponibilità di cibo e, più in generale sulla
qualità della vita, spingendo larghe fette della popolazione a spostarsi in
cerca di condizioni di vita migliori (migranti climatici)
COSA POSSIAMO FARE
Spesso
sentiamo l’espressione “fermiamo” il cambiamento climatico”. Cosa significa?
Possiamo davvero fermare il cambiamento del clima? Ovviamente no.
Data
l’inerzia del sistema anche se oggi annullassimo tutte le nostre emissioni di
gas serra ci vorrebbero ancora centinaia di anni prima che la curva di
concentrazione di anidride carbonica e degli altri gas serra si stabilizzi, e
ancora più tempo occorrerebbe perché la temperatura smetta di aumentare. Per
gli oceani questa inerzia è ancor maggiore quindi non possiamo oggettivamente
fermare il cambiamento del clima. Possiamo però cercare di limitarlo o
rallentarlo: l’obiettivo è contenere la concentrazione di anidride carbonica
entro i 450 ppm (parti per milione) livello che consentirebbe di mantenere il
riscaldamento entro la soglia dei 2 °C. oltre il quale si potrebbero innescare
scenari peggiori di quelli previsti.
Altra
questione: se alcuni elementi non sono noti allora perché dobbiamo agire?
Sebbene
la ricerca scientifica non abbia ancora chiarito molti aspetti legati alle
cause dell’attuale cambiamento del clima, questo non è un buon motivo per non
agire: NON POSSIAMO PERMETTERCI DI RESTARE FERMI ad aspettare la fine
della storia per vedere chi aveva ragione. Passare a sistemi di produzione
energetica più sostenibile è infatti una sfida vincente da cui tutti avremo da
guadagnare, evolvendo i sistemi di produzione verso fonti non inquinanti e
slegandoci inoltre dalla dipendenza dei combustibili fossili e dalla dipendenza
verso i paesi produttori. Inoltre come dicono le previsioni economiche sui
costi dell’inazione, è più conveniente agire oggi prevenendo piuttosto che
intervenire a posteriori a riparare i danni.
gli impatti previsti dei cambiamenti climatici |
LE STRATEGIE DI INTERVENTO
Mitigazione
Le
politiche di mitigazione sono l’insieme di tutte le strategie messe in atto per
intervenire sulle CAUSE del cambiamento climatico, con l’obiettivo di
rallentarne l’andamento e, in ultima analisi, di ridurre ed eliminare i fattori
che lo provocano.
Visto il
ruolo che l’aumento dei gas serra in atmosfera gioca nello squilibrio climatico
terrestre, la principale strategia di mitigazione è la riduzione delle
emissioni dovute alle attività umane (energia, industria, trasporti…). Il
protocollo di Kyoto (trattato internazionale del 1997, divenuto operativo nel
2005, che prevedeva l'obbligo di operare una riduzione delle emissioni dei
principali gas serra nel periodo 2008-2012) è un esempio di politica di
mitigazione. Lo sviluppo delle fonti rinnovabili e in generale il miglioramento
dell’efficienza energetica sono altri tipi di scelte fatte nell’ottica della
mitigazione
Chi
coinvolge: La mitigazione, soprattutto se riferita al taglio delle emissioni, è
una strategia globale, che va attuata attraverso accordi e politiche
internazionali, che individuino gli obiettivi e obblighino i diversi paesi a
rispettarli. Naturalmente, all’interno di tali accordi, ogni stato realizza
politiche di mitigazione che ritiene più opportune per mantenere gli impegni
presi e si adopera per il raggiungimento di ulteriori risultati.
le principali conferenze climatiche dal 1990 |
Pro: Le
strategie di mitigazione, agendo sulle cause del cambiamento climatico,
rappresentano in linea teorica una soluzione permanente e incisiva. …e Contro:
Le azioni di mitigazione sono efficaci a lungo termine. Anche ipotizzando di
azzerare da un momento all’altro le emissioni di CO2 dovute all’uomo, i
risultati si vedrebbero solo dopo diversi decenni. I vantaggi delle strategie
di mitigazione, manifestandosi sul lungo periodo, non sono quindi percepibili
in tempi brevi e non c’è una risposta immediata tra azione e miglioramento
percepito. I benefici di una politica di mitigazione, inoltre, coinvolgono
tutti indistintamente, a prescindere da chi è intervento direttamente
sopportandone i costi. Questo favorisce l’atteggiamento per cui si lasciano
agire gli altri per trarre beneficio dai loro sforzi senza sostenere nessuna
spesa.
Le
politiche di mitigazione, infine, vengono generalmente considerate
economicamente dispendiose. I paesi industrializzati temono di diventare meno
competitivi a causa delle tasse ambientali. I paesi in via di sviluppo temono
di veder penalizzate le loro possibilità di crescita anche se, storicamente,
hanno contribuito in misura molto limitata all’aumento dei gas serra.
Adattamento
Le
politiche di adattamento intervengono sugli EFFETTI del cambiamento climatico e
tendono quindi a ridurre la vulnerabilità dei territori, prevenendo le
conseguenze negative dei cambiamenti climatici e minimizzandone i danni. Si
tratta di un insieme di azioni, piani e interventi volti a preparare il
territorio agli impatti dovuti all’alterazione del clima, per prevenire i
possibili danni e limitare l’entità delle conseguenze ambientali e
socio-economiche. Per poter attuare delle azioni di adattamento è necessario
studiare le caratteristiche dei luoghi, conoscerne i rischi e valutare i
possibili impatti.
Se, ad
esempio, si appura che una comunità costiera è particolarmente esposta al
rischio di inondazioni ed erosione a causa dell’innalzamento del mare, una
misura di adattamento può essere la realizzazione di interventi protettivi
lungo la costa (ricostruzione delle dune…). Ma anche la scelta delle varietà
agricole da utilizzare in funzione delle diverse condizioni climatiche
rappresenta una strategia di adattamento.
azioni di adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici |
Chi
coinvolge: Le misure di adattamento, in quanto legate alle specificità e alla
vulnerabilità dei diversi territori, sono per loro natura locali, pertanto
implicano una serie di scelte e di politiche a livello regionale e nazionale.
Per poter garantire anche ai paesi meno ricchi di adattarsi al cambiamento
climatico è però necessario un impegno internazionale che li sostenga
innanzitutto finanziariamente. La comunità internazionale ha previsto strumenti
di supporto finanziario per assistere i paesi più poveri del mondo ad
affrontare le conseguenze del cambiamento in atto.
Pro: Le
azioni di adattamento hanno un’efficacia sul breve periodo e rappresentano una
risposta diretta e immediata alle conseguenze del cambiamento climatico, non
essendo vincolate ai tempi lunghi del sistema climatico globale. Questo
comporta che i risultati sono più tangibili e che la percezione del
miglioramento è più immediata. I benefici degli interventi di adattamento
interessano specificamente chi ne sostiene i costi; questo aspetto incoraggia
l’impegno dei singoli paesi. … e Contro Le misure di adattamento costituiscono
un argine a danni specifici, ma non rimuovono il problema alle origini. Data la
natura locale delle strategie di adattamento, è difficile riuscire ad inserirle
in un quadro internazionale, che ne coordini le azioni, gli interventi e i
meccanismi di finanziamento, rischiando di dare il via ad una serie di azioni
scollegate e parziali, che in alcuni casi possono rivelarsi inadeguate o
addirittura controproducenti.
Ciò
nonostante l’adattamento è ineludibile: gli effetti delle politiche di
mitigazione sul clima si manifestano solo a lungo termine e, come già detto, anche
attuando dei tagli drastici nelle emissioni di gas serra e passerebbero decenni
prima che si inverta il processo e che si vada verso un’attenuazione
dell’effetto serra non naturale. È dunque indispensabile che, nel frattempo, si
mettano in atto delle strategie di adattamento per poter arginare i danni. Allo stesso tempo, però, le sole politiche di adattamento
non garantiscono una protezione dai danni climatici, anche perché difficilmente
è possibile adattarsi a tutti gli eventi e gli impatti previsti. Se non si
intraprendono politiche di mitigazione, che agiscano sulle cause dei danni, il
clima rischia di continuare a variare in modi imprevedibili, vanificando e
neutralizzando qualsiasi tentativo di adattamento.
mitigazione e adattamento per combatterei cambiamenti climatici |
Da una
parte è indispensabile mettere dei limiti ai cambiamenti climatici futuri
(mitigazione), dall’altra occorre prepararsi all’impatto dei cambiamenti
climatici ormai inevitabili (adattamento). Va da sé che le politiche di
mitigazione, alla lunga, rendono sempre meno necessarie le misure di
adattamento. È utile però evidenziare che, in molte situazioni, anche le azioni
di adattamento possono portare benefici dal punto di vista della mitigazione.