I viaggi
spaziali sono un sogno dell’umanità da sempre e l’uomo cerca soluzioni per
rendere questa possibilità fattibile, poco pericolosa e soprattutto più
economica. La conquista dello spazio è quindi legata allo sviluppo di
tecnologie che possano rendere questa esperienza fattibile da differenti punti
di vista, tecnologicamente non pericolose per i viaggiatori ed economiche.
Che
nello spazio ci fosse il vuoto era noto agli astronomi del diciannovesimo
secolo. Anche Jules Verne lo sapeva e quando scrisse il romanzo Dalla Terra
alla Luna si pose il problema di come fare a volare nel vuoto. Tutti i mezzi
di locomozione allora in uso non erano idonei, finché non ebbe l’intuizione di
sparare un proiettile verso la Luna. A quei tempi c’era già una forma di
propulsione idonea al volo spaziale, ma Verne non la tenne in considerazione.
fotogramma tratto da "Le voyage dans la lune" di George Melies, adattamento del romanzo di Verne |
Fu il
russo Konstantin Tziolkovskij a pensare che la propulsione a razzo fosse la
propulsione ideale per muoversi nello spazio; egli affermò, infatti, sula base dei suoi studi che un corpo poteva accelerare espellendo una parte della sua massa in direzione opposta a quella nella quale si voleva l'accelerazione.
animazione che illustra l'esperimento di Tziolkovskyj: la barca si sposta perché parte della sua massa (le rocce) viene espulsa in direzione opposta a quella del movimento desiderato |
La
propulsione a razzo, così come gli studi di Tziolkovskij si basavano sull’applicazione diretta del terzo principio della
dinamica o principio di azione e reazione, il quale, nella sua formulazione
originaria, ci dice che “ad ogni azione corrisponde sempre una uguale ed
opposta reazione”. Tziolkovskij però doveva combattere con i pregiudizi
degli scienziati del suo tempo che sostenevano che senza un punto d’appoggio,
ogni movimento era impossibile.
Lo
sviluppo della propulsione a razzo per il volo fu quindi lento nonostante il
principio che ne è alla base sia semplice: in un involucro mettiamo una miscela
di combustibile e l’attiviamo, questa produce gas ad alta temperatura e
pressione che cercano una via d’uscita spingendo sulla testa dell’involucro e
scaricando la loro energia, mentre escono dalla direzione opposta attraverso
un’apertura chiamata ugello di scarico. In corrispondenza dell’ugello si
scarico si trova una strozzatura, opportunamente sagomata, che aumenta la
pressione del gas in uscita e, con essa, la spinta sulla testa.
Questo principio è quello che sperimentiamo ogni qualvolta dopo aver gonfiato un palloncino lo lasciamo andare: l'aria contenuta nel palloncino (che, in questo caso, noi abbiamo soffiato all'interno e non deriva dalla combustione del combustibile) fuoriesce scaricando la pressione interna e spinge sulla testa del palloncino facendolo muovere nella direzione opposta, come possiamo vedere in questo breve video
COME FUNZIONA IL MOTORE DI UN RAZZO
Gli
aerei, così come le automobili e qualsiasi altro mezzo terrestre dotato di un
motore a combustione interna, hanno bisogno di tre componenti: il combustibile,
il comburente e l’innesco.
Nel caso
del motore a scoppio il combustibile è la benzina, contenuta in un serbatoio
dal quale viene risucchiata da un’apposita pompa, il comburente è l’ossigeno
che viene aspirato direttamente con l'aria, mentre l’innesco è dato dalla scintilla
generata dalla candela.
animazione che illustra il funzionamento di un comune motore a quattro tempi |
Nei
motori a reazione (o a getto), utilizzati in aeronautica, l’aria esterna,
aspirata attraverso una presa d’aria frontale, viene compressa mediante una
turbina e successivamente immessa nella camera di combustione dove, unita al
combustibile, viene fatta bruciare. La combustione espande (facendolo aumentare
di volume) il gas, che va a colpire una seconda turbina. Questa spinge i gas
combusti e l’aria verso l’ugello di scarico creando una spinta, la quale, per
reazione, fa muovere l’aereo nella direzione opposta.
animazione che illustra il funzionamento di un motore a reazione |
La
differenza tra la propulsione aeronautica e quella spaziale sta nel fatto che,
pur essendo due sistemi basati sulla spinta ottenuta come reazione eguale e
contraria ad un'espulsione di gas, la prima utilizza come comburente l'aria
presente nell'atmosfera terrestre, mentre la seconda, deve bruciare quantità
così elevate di combustibile che non è sufficiente utilizzare l’ossigeno
atmosferico. L’aria, infatti, non contiene solo ossigeno, ma anche azoto,
anidride carbonica e vapore acqueo che, se iniettati nella camera di
combustione di un razzo, interferirebbero con la combustione. Nello spazio poi
l’ossigeno non c’è affatto, ecco quindi la necessità di provvedere allo stivaggio in serbatoio di combustibile e comburente puri.
Queste due sostanze, in termini astronautici, sono definiti propergoli.
Un’altra
fondamentale caratteristica della propulsione spaziale è che nessun componente
meccanico è direttamente coinvolto nella produzione del moto. Per questo la
propulsione a razzo è considerata una delle più efficienti forme di propulsione
esistenti, perché priva di attriti meccanici.
Sebbene il principio di
funzionamento sia banale, risulta molto difficile da realizzare: durante la
Seconda Guerra Mondiale la Germania nazista spese, per sviluppare la
propulsione a razzo, molto più di quanto spesero gli Stati Uniti d’America per
realizzare la bomba atomica.
Oggi per
andare nello spazio, i razzi che lanciamo dal nostro pianeta, sono basati su un
sistema che utilizza l’ossigeno liquido, il quale entra in combinazione con il
combustibile (generalmente idrogeno) all’interno della camera di combustione. L’ossigeno
e l’idrogeno sono solitamente in forma liquida in quanto bruciano appena
entrano in contatto e non necessitano neppure di un innesco, inoltre, dovendo
essere tenuti a basse temperature, possono essere usati anche per raffreddare
il razzo stesso.
Solo per far sollevare il razzo dalla superficie terreste e
vincere la forza di gravità occorrono normalmente circa 250 tonnellate di
ossigeno liquido senza parlare del combustibile e soprattuto, una volta
superata la prima fase del lancio, quello rimanente nei serbatoi viene scartato
con enormi sprechi di denaro.
animazione che illustra il funzionamento di un motore a razzo a combustibile liquido |
Lo Space Shuttle, ad esempio si componeva essenzialmente di tre parti:
l'Orbiter Vehicle (in sigla OV): è l'unico componente a entrare in orbita con a bordo gli astronauti, un vano di trasporto per il carico, tre motori principali che utilizzano il combustibile presente nei serbatoi esterni e un sistema di manovra orbitale con due motori più piccoli (OMS);
due Solid Rocket Booster (in sigla SRB): razzi riutilizzabili a propellente solido, il perclorato d'ammonio (NH4ClO4) e l'alluminio, che si staccano due minuti dopo il lancio a un'altezza di 66 km e vengono recuperati nell'oceano grazie al fatto che la velocità di caduta viene notevolmente ridotta da alcuni paracadute;
il Serbatoio Esterno (in sigla ET): un grande serbatoio esterno di combustibile contenente ossigeno liquido (in cima) e idrogeno anch'esso liquido (nella parte bassa) che servono ad alimentare i tre motori principali dell'Orbiter. Si stacca dopo circa 8 minuti e mezzo a un'altitudine di 109 km, esplode in atmosfera e ricade in mare senza che venga poi recuperato.
lo space Shuttle Atlantis sulla rampa di lancio |
IL PROGETTO S.A.B.R.E.
Sono due
i fattori che frenano in questo momento la nostra esperienza spaziale. Innanzitutto,
la realizzabilità tecnica. I sistemi fino adesso utilizzati per sparare i razzi
nello spazio e superare la forza gravitazionale terrestre, sono basati su
motori che utilizzano combinazioni di ossigeno liquido e combustibile con
grandi incognite sulla sicurezza ed enormi sprechi di denaro. Inoltre essi richiedono camere di
combustione leggere ma resistenti alle fortissime pressioni e alle alte
temperature che si generano al loro interno che si generano al loro interno e
che non rischino la fusione per le alte temperature. Per arrivare a ciò, con
spessori ridotti e senza impianti di raffreddamento che costituirebbero un peso
eccessivo, occorrono materiali nuovi che mettono a dura prova le conoscenze
tecniche e scientifiche.
Tanti
fino ad ora sono stati i tentativi di superare questi limiti, sperimentando
nuove tecnologie o sistemi di propulsione e proprio da questa direzione giunge,
dall’Agenzia Spaziale Europea, una novità che fa ben sperare per il futuro del
trasporto spaziale. Si chiama S.A.B.R.E., sigla che sta per Synergistic
Air-Breathing Rocket Engine e si tratta di un nuovo tipo di motore spaziale che
l’E.S.A., in collaborazione con la Reaction Engines inglese, sta sviluppando.
Il
principio di funzionamento è abbastanza semplice; S.A.B.R.E., sfrutterebbe aria
atmosferica nelle prime fasi del lancio (come un motore aeronautico) per poi trasformarsi in un razzo
convenzionale nella seconda fase al fine di fornire la spinta necessaria al
razzo per farlo uscire dall’atmosfera terrestre superando la forza attrattiva
del pianeta.
Più
complesso è il sistema per ottenere questo processo
.
i componenti del motore S.A.B.R.E: |
simulazione di un velivolo per il volo extra atmosfera con motori s.a.b.r.e. |
In primo luogo comprimere l’ossigeno dell’atmosfera e spingerlo nelle camere di combustione, come accade nei motori a reazione, non è un’operazione tecnicamente complessa, ma comporta un forte innalzamento della temperatura, che potrebbe compromettere il funzionamento dei motori. Per evitare questo inconveniente, è necessario raffreddare l’ossigeno all’interno di uno scambiatore di calore (un dispositivo che realizzano lo scambio di energia termica tra due fluidi, uno dei quali cede calore all’altro raffreddandosi) e riportarlo allo stato liquido per far bruciare il combustibile fino a quando il razzo non raggiunge la quota di 25.000 metri. Qui, a causa del fatto che l’aria più rarefatta, il motore non può più sfruttare l’ossigeno, per cui tornerebbe a diventare un normale sistema come quelli attualmente utilizzati nelle missioni spaziali.
Teoricamente
questa operazione di raffreddamento sembra semplice, ma, in questo caso, gli
scambiatori di calore dovrebbero raffreddare la temperatura dell’aria da
1.000°C a -150°C in un centesimo di secondo evitando la formazione di ghiaccio.
L’altro
problema che si pone alla riuscita di S.A.B.R.E. è il peso. Gli scambiatori di
calore sono delle apparecchiature abbastanza diffuse in ambito industriale, ma sono molto ingombranti e pesanti, il che è un serio problema
nei sistemi aerospaziali.
Gli
scienziati credono molto in questo nuovo sistema di propulsori e l’E.S.A. sta
investendo ingenti quantità di denaro nel suo sviluppo. Un motore del genere
farebbe compiere all’industria aerospaziale enormi passi in avanti e
soprattutto, consentirebbe di realizzare nuovi propulsori a basso costo e a
basse emissioni.
LA
PROPULSIONE A VELA
L’unica
forma di propulsione alternativa al razzo ed impiegabile solo nello spazio è
quella della vela solare. Ideata da un discepolo di Tziolkovskij, tale Tsander,
essa sfrutta l’effetto dell’urto dei fotoni con una superficie solida. La luce
infatti è composta da particelle chiamate fotoni che oltre ad essere
radiazioni, hanno anche una piccola massa. Il loro urto provoca una spinta. Se
sulla Terra tale fenomeno è verificabile solo in laboratorio, nello spazio, in
assenza d’attriti, ogni minima spinta genera movimento. I satelliti artificiali
devono spesso correggere la loro orbita a causa della spinta parassita indotta
dalla luce solare. Tsander immaginava veicoli sospinti da grandi vele.
simulazione di un satellite con propulsione a vela solare |