Dietro ai nostri piatti si nasconde un'enorme spreco nascosto:
quello dell'acqua. Un rapporto del WWF del 2014 ha mostrato per la prima volta
quanta acqua è nascosta nel cibo.
A rischio sono non solo le nostre falde acquifere, cioè le nostre
riserve d’acqua, ma anche le risorse idriche di paesi lontani e potenzialmente
a rischio siccità: siamo infatti il terzo Paese per importazione di acqua
virtuale (con 62 miliardi di m3 l’anno) cioè di acqua nascosta in alimenti
provenienti da altri paesi.
A livello planetario la disponibilità di d'acqua dolce è in
costante calo e l’aumento della popolazione (e di conseguenza dei consumi
d’acqua), non sembra essere un buon segnale in questo senso. Il Wwf ha
identificato nell'impronta idrica lo strumento attraverso il quale porre
l'attenzione del mondo su di un aspetto poco conosciuto dello spreco d’acqua;
spreco del quale tutti siamo inconsapevoli protagonisti.
L’IMPRONTA IDRICA (o WATER
FOOTPRINT), ideata nel 2002 dal Professor Arjen Y. Hoekstra, è un
indicatore, cioè un numero, che ci consente di calcolare il totale di acqua
dolce consumato consumata, ma non utilizzata direttamente dall’uomo perché è
servita a dar vita a qualsiasi prodotto destinato all’uso quotidiano, come un
chilo di carne, un uovo, un hamburger o un paio di jeans. Per calcolare
l'impronta idrica, infatti, oltre all’acqua direttamente consumata per ottenere
un prodotto (materia prima, merce, servizio) occorre considerare anche il
volume di acqua necessario per rendere tale prodotto disponibile al consumo
(dal reperimento delle materie prime alla loro trasformazione, all’imballaggio,
al trasporto), ossia l’acqua virtuale nascosta nell’intera ciclo di produzione,
distribuzione e consumo.
L’impronta idrica è la somma di tre componenti diverse per origine e impatto ambientale: acqua blu, acqua verde e acqua grigia.
La COMPONENTE BLU (BLUE WATER) è l’acqua che proviene dalle
risorse idriche (fiumi, laghi, falde acquifere sotterranee..) e che viene
utilizzata direttamente per irrigare i campi, dissetare gli animali o nei
processi produttivi.
La COMPONENTE VERDE (GREEN WATER) è l'acqua piovana
contenuta nelle piante e nel suolo sotto forma di umidità, e che viene
utilizzata dalle piante stesse per vivere
La COMPONENTE GRIGIA (GRAY WATER) è l’acqua inquinata dai
processi produttivi e rappresenta il volume di acqua dolce ipoteticamente
necessario per diluire gli inquinanti a un livello tale da rendere l’acqua
inquinata ancora utilizzabile.
La somma di questi tre elementi consente di calcolare l’effettivo
peso idrico di coltivazioni, allevamenti e tutte le produzioni che coinvolgono
il settore agroalimentare e non soltanto. È stato calcolato anche, per esempio,
il costo di fibre come il cotone. In tutti i casi, l’elemento che ha un maggior
peso è quello della green water che varia di area in area, di stagione in
stagione ed è condizionata anche dal cambiamento climatico.
QUAL È L’IMPATTO IDRICO DELLA TUA DIETA?
Sul sito del Water Footprint Network è possibile calcolare l’effettivo impatto idrico del proprio stile di vita, ma anche semplicemente comparare alcuni tra i cibi più comuni. Vediamo i risultati per comprendere quanta acqua viene consumata per produrre 1 kg dei seguenti alimenti quotidiani:
Mela 822 l/kg
Burro 5.553 l/kg
Carne di manzo 15.415 l/kg
Banane 790 l/kg
Vino 870 l/kg
Pomodori 214 l/kg
Caffè 18.900 l/kg
Riso 2.497 l/kg
Maiale 5.988 l/kg
Pasta 1.849 l/kg
Olive 3.015 l/kg
Mais 1.222 l/kg
Lattuga 5.520 l/kg
Uova 3.300 l/kg
Latte 1.020 l/kg
L’impronta idrica dei cibi, dunque, varia molto di prodotto in
prodotto ed è un indicatore che, insieme ad altri, ci consente di imparare a
riconoscere l’impatto ambientale di quello che mangiamo. Non è il solo elemento
rilevante, ma consente di misurare l’ammontare di acqua dolce necessaria per
alimentare l’intero processo di produzione, dove questo accade e con che
impatto. Si tratta di dati utili per sviluppare ulteriori ricerche nell’ottica
della sostenibilità.
È necessario però fare dei distinguo: chiaramente ogni coltura, ed
ogni processo di trasformazione dei prodotti agricoli avranno caratteristiche
più o meno idrovori (cioè, consumatori di acqua) e solo un piazzale
perfettamente asfaltato ha un’impronta idrica pari a 0! Inoltre l’agricoltura
impiega principalmente acqua verde, l’acqua naturalmente fornita dall’ambiente! Comunicare l’impronta idrica non è, quindi, una cosa semplice.
Quante volte abbiamo letto 3000 L per una bistecca di manzo da 200
g, ma quante volte ci hanno detto che il 94% di quel quantitativo di acqua, è
acqua verde, il 4% blu, il 3% grigio? I valori andrebbero sempre riportati per
tipologia di acqua, e le diverse tipologie di acqua andrebbero sempre spiegate.
Per valutare la sostenibilità di un prodotto in funzione dell’impronta idrica,
infatti, non si deve guardare tanto al valore complessivo ma ai due seguenti
valori:
-il rapporto acqua verde/acqua blu: più il rapporto è alto più la
coltura è stata condotta in una zona climatica ad essa adeguata impiegando il
più possibile l’acqua naturalmente fornita dall’ambiente con le piogge e
ricorrendo in modo limitato al prelievo di acqua potabile. Giusto per fare un
esempio i pomodori prodotti in Israele (acqua verde 25 L/kg; acqua blu 26 L/kg;
acqua grigia 33 L/kg; totale 84 L/kg) pur avendo un valore complessivo di
impronta idrica più basso, avranno, a causa del clima più secco, un minore
rapporto acqua verde/acqua blu rispetto ai pomodori italiani (acqua verde 65
L/kg; acqua blu 31 L/kg; totale; 109 L/kg) e richiederanno quindi un maggiore
consumo di acqua potabile.
-il volume di acqua grigia. Infatti un alto valore di acqua grigia
corrisponde a un elevato impatto qualitativo sulla risorsa. Bisogna considerare
infatti che l’acqua è una risorsa rinnovabile, ma limitata e preziosa e il suo
inquinamento rappresenta un importante rischio per il suo impiego presente e
futuro.
IL POTERE DEL CONSUMATORE
L’acqua è un bene tanto prezioso quanto scarso. Dal momento che,
come è risaputo, non è possibile la vita senza, l’azione per evitare che si è
fondamentale. “Dal momento che la disponibilità di acqua dolce sulla terra è
limitata – si legge sul sito del Water Footprint Network – è importante sapere
come è impiegata per vari scopi in maniera tale da alimentare dibattiti che
contrappongono l’applicazione per la natura e quella per il cibo, o ancora
l’uso nella filiera agroalimentare contro l’energia, oppure la distribuzione
tra quanta viene impiegata per beni di sostentamento oppure per beni di lusso”.
Il consiglio alle persone comuni è di iniziare a ridurre gli sprechi idrici già in casa, installando per esempio dei dispositivi di risparmio dell’acqua oppure chiudendo il rubinetto mentre ci si lava i denti o in altre situazioni analoghe. Dal punto di vista alimentare, invece, gli esperti suggeriscono due strade, potenzialmente parallele.
In primo luogo, è possibile ridurre il consumo di alimenti di cui
è riconosciuto l’ingente impatto idrico. Ad esempio, preferendo la carne di
pollo a quella di manzo, scegliendo il tè al posto del caffè e, in generale,
adottando soluzioni sostenibili. Si tratta di un percorso complicato, anche
perché non sempre è facile modificare le proprie abitudini per ragioni di
sostenibilità economica.
Una seconda strategia prevede, invece, la scelta di alimenti con
il minor impatto idrico possibile all’interno della stessa categoria di
prodotto che desideriamo. Per esempio, scegliendo latte prodotto in una
determinata zona dove, secondo la mappa del Water Footprint Network, ci sono buoni livelli di risparmio
idrico in filiera. La criticità, in questo caso, è rappresentata dalla limitata
trasparenza e dalla carenza di informazioni a disposizione del consumatore che
in etichetta trova ancora pochi dati.
Altre fonti di informazione